La violenza non è sono solo di genere

Valorizzare le diversità per creare coesione organizzativa e sociale

In questa era di globalizzazione, la violenza riguarda qualcosa di più del genere, della provenienza e dell’etnia. Ora include anche diverse convinzioni religiose, culturali, politiche,  sanitarie, background socioeconomici, orientamento sessuale. Nella società attuale sta infatti aumentando  la violenza sulle donne ma anche  l’intolleranza ovvero la difficoltà ad adattarsi all’altro.  e ad accettare le idee  dell’altro. Spesso l’aggressore non riflette sul fatto che la diversità è relativa e dipende strettamente dalle circostanze in cui ci si trova. Un cristiano, ad esempio, non viene visto come diverso in una comunità di cristiani. Al contrario, potrebbe esserlo in una di mussulmani. Il termine diversità  bisogna quindi intenderlo non nell’accezione di anormalità, ma di qualcosa di altro rispetto alla nostra quotidianità. Un qualcosa o qualcuno di differente rispetto a noi. Ad un “noi” legato al concetto di appartenenza in quanto facenti parte di una determinata classe sociale, di una nazione, di una comunità, oppure di una lobby che vuole difendere i privilegi acquisiti e che non intende perderli.

I sociologi affermano che si è completamente perso il senso di un vero benessere interiore e sociale  e che  prevalgono quelle che vengono definite “relazioni povere”: mere relazioni utilitaristiche tra l’uomo e le cose, ma anche tra gli uomini stessi. Una concezione materialistica diffusa, senza fantasie o curiosità, induce gran parte degli individui a perseguire unicamente il proprio benessere.   Non va infatti  sottovalutato che all’ombra dell’attuale crisi economica se ne cela un’altra di proporzioni molto più ampie: la scomparsa del senso di comunità, ovvero di quel sentimento di appartenenza e di attenzione verso qualcosa che va al di là del singolo individuo. Comunità significa preoccuparsi del proprio  lavoro, dei colleghi, dei clienti, dei  propri conterranei, dei propri dipendenti, dei propri elettori,  sentirsi coinvolti l’uno verso l’altro.  Ma come si può essere orgogliosi di appartenere ad un’azienda, a una comunità  o a un  partito politico in cui la classe dirigente è più orientata ad agire per proprio tornaconto personale che per conseguire il bene comune? Ma come si può essere orgogliosi di appartenere ad aziende  i cui manager prendono stipendi megagalattici anche quando l’azienda è in perdita o che per proprio tornaconto personale o per soddisfare i mercati pompano i risultati, trascurano il rispetto delle norme di sicurezza, la manutenzione dei macchinari, adottano nei confronti dei clienti pubblicità ingannevoli e nei confronti dei dipendenti modelli gestionali che riducono i costi, incrementando  precariato ed esternalizzazione E’ proprio questa mancanza di eticità diffusa, questa distanza tra valori dichiarati e valori percepiti che aumenta lo stato di disagio di lavoratori,  cittadini,  elettori, stato di disagio che ha un costo ed un nome: violenza/disagio sociale/astensionismo/demotivazione. Stato di disaggio che esaspera sentimenti negativi come la rabbia e l’aggressività.

 

Il problema si pone quando mancano l’umanità e il rispetto. Allora la persona diventa disumana e si permette di considerare un “nemico”, non solo la madre dei suoi figli, ma anche chi non rispetta le sue modalità di essere e chi percepisce debole e quindi più facile preda. La diversità diventa così un pretesto per scatenare la propria rabbia e la propria insoddisfazione nei confronti di un contesto sociale  che non ci piace ma in cui si è costretti a vivere. Tanto più ci si sente impotenti e tanto più si ergono  barriera allorchè  il disagio ci soffoca e non ci permette di vivere in pace.  La violenza  tra persone di religioni diverse, tra generi, tra etnie diverse e nei confronti di persone considerate diversamente abili  ha origine antiche e non di rado è stata presa a pretesto per il perseguimento di altri interessi

 

La violenza, l’aggressività, l’insoddisfazione la portiamo dalla vita privata anche nel mondo del lavoro dove le molestie  rimangono pervasive, colpendo tutti i paesi, le professioni e le modalità di lavoro. Una diffusa concezione individualista mista a un’esasperata cultura della competizione, insieme a forme di disagio dovute ai fenomeni del bossing e del mobbing, alla precarizzazione del lavoro, ai cambiamenti nell’organizzazione del lavoro e nella tecnologia ai cicli produttivi frenetici e ai carichi di lavoro sempre più pesanti, sono tutti fattori che alimentano il rischio della violenza nei luoghi di lavoro cui sono esposte particolarmente proprio le lavoratrici. Questi fenomeni si manifestano in diverse forme e contesti. Essi privano le persone della loro dignità e sono incompatibili con il lavoro dignitoso e la giustizia sociale.  I casi e i numeri indicati dall’Inail  (ottobre 2020) costituiscono la rappresentazione di un rischio emergente di violenza sulle donne nei luoghi di lavoro. Sono circa ottomila l’anno gli episodi codificati come aggressioni, minacce, violenze provenienti sia dall’interno sia dall’esterno del posto di lavoro accertati positivamente come infortuni dall’Inail; il 39% delle aggressioni è rivolto contro le donne.

 

In alcuni ambienti di lavoro il fattore della prevaricazione è tendenzialmente in aumento sia a causa dell’aggressività endogena  tra dipendenti della stessa impresa e sia a causa dell’aggressività proveniente da persone esterne all’impresa (clienti, fornitori, contesto sociale). l’insorgere dell’emergenza epidemiologica da Covid 19 nei primi mesi del 2020, i media e i servizi specializzati hanno fin da subito iniziato a parlare di un probabile futuro aumento dei casi di violenza contro le donne tra le mura domestiche a causa del maggior rischio di violenza dovuto al confinamento forzato (lockdown) e alle difficoltà per le vittime conviventi con il maltrattante a denunciare e rivolgersi ai servizi di supporto. In particolare, molte donne che svolgevano lavori informali che hanno perso durante la quarantena sono risultate maggiormente esposte, essendo costrette a lunghe permanenze in casa e diventando in misura maggiore economicamente dipendenti. L’aumento dei casi di violenza di genere nel mondo come conseguenza della pandemia è stato chiaramente indicato dall’indagine pubblicata da CEPOL nel luglio 2020 e dalle stesse Nazioni Unite  che hanno definito questo fenomeno “pandemia ombra” proprio per sottolinearne l’impatto devastante. A livello internazionale ed Europeo, sono state fornite raccomandazioni e linee guida per fronteggiare in emergenza le situazioni di violenza.

Eppure sono molti che sostengono che la diversità sul posto di lavoro rappresenta una risorsa sia per le imprese che per i loro dipendenti, perché promuove l’innovazione, la creatività e l’empatia più efficacemente di quanto non facciano ambienti di lavoro in cui prevalgono conformismo e omologazione. I dipendenti con background diversi portano con sé le proprie prospettive, idee ed esperienze, contribuendo a creare organizzazioni resilienti ed efficaci, che superano le organizzazioni che non investono nella diversità. Le aziende, proprio a causa dell’interculturalità,  stanno scoprendo che, sostenendo e promuovendo un ambiente di lavoro diversificato e inclusivo,  ottengono benefici che coinvolgono anche il profitto. La Convenzione n. 190 e la relativa Raccomandazione n. 206 arricchiscono il codice internazionale del lavoro e promuovono il rafforzamento della legislazione, delle politiche e delle istituzioni nazionali al fine di rendere effettivo il diritto di tutti/e ad un mondo del lavoro libero da violenza e molestie. Per la prima volta, questi due strumenti riconoscono che la violenza e le molestie nel mondo del lavoro sono inaccettabili e incompatibili con il lavoro dignitoso. Questi fenomeni possono costituire un abuso o una violazione dei diritti umani e una minaccia alle pari opportunità.

 

Per vincere le resistenze all’integrazione socio-culturale  è  soprattutto importante comprendere che gli aspetti di formazione non devono fermarsi alla valorizzazione delle hard skill e al semplice aggiornamento delle competenze. Bisogna agire attraverso  un tipo di formazione a tutti i livelli che faccia comprendere l’importanza della diversità in un ottica di sviluppo dell’azienda. Tali riflessioni dovrebbero spingere le aziende e  la società civile  a chiedersi se e quale sia uno stile di leadership capace di generare un terreno fertile capace di generare coesione interculturale.

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